Gli esercizi di bilancio cosiddetti “a cavallo”, vale a dire quelli in cui i risultati di un periodo d’imposta vengono attratti in quello di chiusura, rappresentano una situazione contabile più diffusa di quanto si creda: in particolare, questo può accadere alle società di persone, in primis quelle in nome collettivo e quelle in accomandita semplice, così come ha precisato la nostra amministrazione finanziaria con una opportuna circolare pubblicata nel corso della giornata di ieri, la 92/E. Nello specifico, erano sorti molti dubbi a tal proposito,visto che le normative di base non sembravano disciplinare in maniera chiara la possibilità di questa coincidenza tra esercizio e periodo d’imposta, anche perché ogni decisione viene liberamente adottata dallo statuto delle stesse società. La circostanza in questione, però, stride con quanto contenuto nell’articolo 7 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (il celebre Dpr 917 del 1986).

Quest’ultimo, infatti, precisa che l’imposta deve essere corrisposta per anni solari e ognuno di essi vanta una obbligazione tributaria del tutto autonoma. Lo stesso periodo d’imposta non è altro che il periodo temporale di riferimento per l’anno solare, in modo da rilevare quale base imponibile deve essere di fatto applicata. La classica situazione che si può verificare è quella per cui diventa necessario un esercizio a cavallo per quel che concerne il periodo compreso tra il 1° gennaio e il 31 dicembre di ogni singolo anno.

Secondo l’Agenzia delle Entrate, comunque, il reddito complessivo delle società a cui stiamo facendo riferimento viene ottenuto mediante un apporto delle variazioni in aumento o in diminuzione all’utile oppure alla perdite che deriva dal conto economico. Pertanto, nell’ipotesi in cui l’esercizio non sia coincidente con l’anno solare, allora il risultato verrà attratto nel periodo in cui questo stesso esercizio giunge a chiusura. Tale reddito, fondamentale per l’Irap, risulterà dal conto dei profitti e delle perdite di chiusura in questo periodo d’imposta.