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Multinazionali nel mirino del fisco

Durante le ultime settimane, con un paio di azioni mirate nei confronti di Google e Apple, le amministrazioni fiscali di Roma e Londra hanno recuperato più di un miliardo di evasione da parte delle multinazionali.

Le major, dunque, sono sempre più nel mirino del fisco.

Non c’è dubbio che nei prossimi mesi esploderanno in tutta Europa casi ancora più clamorosi: la procura della repubblica di Milano sta lavorando su diverse ipotesi di presunta elusione internazionale. Casi che porteranno alle casse dell’erario ben di più di quanto prodotto dalle campagne di odio contro le partite Iva.

Le cose stanno cambiando in maniera molto celere. Le esigenze crescenti di gettito fiscale dei paesi produttori di ricchezza hanno condotto in pochi anni alla fine del segreto bancario e stanno smantellando quelli che fino a poco tempo fa erano i paradisi fiscali più ambiti. Anche nella fiscalità d’impresa l’Unione europea ha scelto di cambiare rotta, attivandosi nel seguire l’iter di implementazione delle proposte Ocse. L’Unione europea, che avverte in modo sempre più urgente la necessità di giustificare la propria esistenza, ha presentato nei giorni scorsi un pacchetto di norme che recepiscono in sostanza le indicazioni dell’Ocse su Cfc, interessi passivi, strumenti finanziari ibridi, transfer pricing.

L’Ocse infatti è un organismo consultivo, non ha potere normativo. Saranno perciò le direttive europee ad accelerare il processo di recepimento nei diversi stati, processo non semplice, anche perché durante ultimi mesi molti stati, anche sulla base delle indicazioni che venivano da diversi organismi nazionali, hanno già introdotto alcuni istituti, come il patent box o il nuovo regime Cfc in Italia.

Malgrado la complessità della materia le imprese multinazionali hanno capito benissimo che dovranno rivedere in tempi brevi i propri strumenti di pianificazione fiscale, e si stanno già attrezzando: per esempio chi aveva tutti i redditi localizzati in Irlanda ora dovrà trasferirli nuovamente e renderli tassabili nei paesi dove effettivamente sono stati prodotti.

C’è forse il rischio che un terremoto di queste proporzioni, che ha naturalmente bisogno di tempo per essere metabolizzato, provochi non poca confusione ai piani alti delle imprese più grandi: anche perché le riforme attualmente in discussione sono elaborate su tavoli diversi e una impresa che lavora in 28 paesi deve tener conto di quello che fanno l’Ocse, la commissione europea e ciascuno dei 28 stati nazionali.

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