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Imu alla Chiesa, ecco perché non verrà applicata

Come noto, il Consiglio di stato ha bocciato il decreto del ministero dell’economia e finanze che avrebbe introdotto l’applicazione dell’Imu sugli enti non commerciali, e quindi anche sulla Chiesa. La decisione del Consiglio ha fatto sollevare un prevedibile vespaio di polemiche: cerchiamo allora di comprendere quali siano state le ragioni che hanno condotto i giudici di Palazzo Spada ha bocciare il contenuto del decreto, e vedere pertanto se vi sono possibilità che la norma, sotto diverse spoglie, possa essere prima o poi ripresentata.

“Non è demandato al ministero” – scrive il Consiglio di Stato – “di dare generale attuazione alla nuova disciplina dell’esenzione Imu per gli immobili degli enti non commerciali. Sulla base di tali considerazioni deve essere rilevato che parte dello schema in esame è diretto a definire i requisiti, generali e di settore, per qualificare le diverse attività come svolte con modalità non commerciali. Tale aspetto esula dalla definizione degli elementi rilevanti ai fi ni dell’individuazione del rapporto proporzionale in caso di utilizzazione dell’immobile mista “c.d. indistinta” e mira a delimitare, o comunque a dare un’interpretazione, in ordine al carattere non commerciale di determinate attività”.

Ancora, per il Consiglio di Stato “l’amministrazione ha compiuto alcune scelte applicative, che non solo esulano dall’oggetto del potere regolamentare attribuito, ma che sono state effettuate in assenza di criteri o altre indicazione normative atte a specificare la natura non commerciale di una attività. Basti fare riferimento al criterio dell’accreditamento o convenzionamento con lo stato per le attività assistenziali e sanitarie o ai diversi criteri stabiliti per la compatibilità del versamento di rette con la natura non commerciale dell’attività”.

“In alcuni casi” – spiegano ancora i giudici del Consiglio di Stato – “è utilizzato il criterio della gratuità o del carattere simbolico della retta (attività culturali, ricreative e sportive); in altri il criterio dell’importo non superiore alla metà di quello medio previsto per le stesse attività svolte nello stesso ambito territoriale con modalità commerciali (attività ricettiva e in parte assistenziali e sanitarie); in altri ancora il criterio della non copertura integrale del costo effettivo del servizio (attività didattiche)”.

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